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di Sara Tourn

Fin dall’apertura, il sinodo ha puntato l’accento sulla tragica attualità dei conflitti armati e del dramma dei profughi. La relazione della Commissione d’esame si apriva proprio con un paragrafo sul progetto «Mediterranean Hope», ripreso anche nella prima conferenza stampa, da Giuseppe Platone, relatore della Commissione d’esame e Massimo Aquilante, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI). «Servono luoghi in cui si sostenga la religione della pace e non della guerra», ha detto Platone. Questo tema ha poi accompagnato lo svolgimento dei lavori praticamente per tutta la settimana, fino all’atto che è stato poi votato giovedì sera, con cui il sinodo ha ribadito la propria solidarietà «alle comunità civili, etniche e religiose colpite da conflitti armati e violenze in molte parti del mondo».

Un primo gesto, simbolico e non meramente economico, è stato fatto nel momento stesso dell’apertura del sinodo, con la destinazione della colletta raccolta durante il culto, di oltre 3500 euro. Questa è stata devoluta rispondendo a un appello della Comunione mondiale di chiese riformate (CMCR) che all’inizio di agosto chiedeva alle chiese un aiuto per le minoranze (cristiane e non solo) in Iraq. L’appello, firmato dal segretario generale Setri Nyomi, ricordava che nell’ultimo decennio i cristiani nel Paese sono passati da 1,5 milioni a meno di 450.000 a causa di una situazione che si caratterizza ormai come una vera e propria «crisi umanitaria». Esortava quindi le chiese sorelle a fare pressione sui Governi dei rispettivi Paesi e sulle Nazioni Unite per agire concretamente a favore delle popolazioni perseguitate. In particolare, il segretario invocava il sostegno alla Act Alliance e alla Federazione luterana mondiale (FLM), impegnate in una forte azione di soccorso verso le centinaia di migliaia di profughi. La Act Alliance, in particolare, formata da più di 140 chiese e organizzazioni associate al Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) o alla FLM, alla fine di luglio rivolgeva un appello per supportare l’assistenza a più di 5700 famiglie sfollate e alle comunità che le accolgono, che spesso non dispongono di mezzi, nel nord dell’Iraq.

Qui diversi organismi sono coinvolti e già attivi, come la FLM che insieme a partner locali come Capni (programma di aiuto di Nohadra) e Gian (Centro per le vittime della tortura di Kirkuk) ha identificato le priorità in alcune aree del paese e pianificato l’intervento: più di 900.000 dollari per garantire cibo, medicinali e altri generi di conforto per almeno 6 mesi e fronteggiare l’emergenza acqua (12500 famiglie) e cibo (2500 famiglie).
La visita appena conclusa di una rappresentanza del Consiglio ecumenico delle chiese, guidata da Peter Prove, ha confermato la gravità della situazione e l’importanza di una risposta immediata anche a sostegno del governo regionale curdo, che sta «sopportando un pesante fardello, dimostrando però un’eccezionale risposta umanitaria», ha dichiarato Prove.

10 settembre 2014