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di Ilenya Goss

“Quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere”.

Esodo 33, 22-23

C’è un insegnamento nella via che ogni bambino percorre verso la conoscenza: ascolta parole, musica e rumori già durante la gestazione; invece ci vuole tempo prima che la vista maturi in una visione chiara. Eppure la nostra cultura ha privilegiato il senso della vista tanto che “andare a vedere” significa verificare, quasi che solo questo tra i sensi sia in grado di garantire il vero. Il dialogo tra il Signore e Mosè sul monte, dopo il fatto del vitello d’oro, mette in gioco il vedere e l’ascoltare: vedere il volto del Signore non è compatibile con la vita umana, ma il Signore entra in relazione attraverso la parola. La risposta del Signore alla richiesta di Mosè è articolata: dopo aver annunciato che la sua gloria consiste nella bontà, subito la mostra in atto nel gesto di protezione dedicato a Mosè, coperto dalla mano del Signore nella cavità della roccia.

Mosè potrà vedere le spalle del Signore che è già passato, così come il passaggio della Parola che dà vita, che guarisce, che apre alla speranza viene sempre riconosciuto soltanto dopo, dai segni che lascia, dai cambiamenti che genera. Non siamo in condizioni di vedere arrivare l’azione del Signore, di riconoscerla inequivocabilmente guardandola di fronte, di afferrarla e trattenerla, ma l’annuncio della sua Parola ci consente di interpretare la storia e la vita scorgendo le tracce del passaggio del Signore nelle nostre strade e dentro il nostro cuore, accanto al cavo della roccia in cui Egli ci invita a sostare protetti dalla sua mano come in un luogo sicuro in cui imparare a conoscerlo e ascoltarlo.